Parallelamente alla 60esima Biennale d’Arte di Venezia, la galleria ospita le mostre Love Dart, mostra personale di Wang Haiyang e i progetti speciali Dipinti e Beats, rispettivamente di Alessandro Teoldi e Feng Chen, a cura dalla curatrice indipendente, critica e co-autrice di pubblicazioni internazionali Manuela Lietti.
Love Dart dell’artista cinese Wang Haiyang (1984) presenta dipinti e una selezione di animazioni video ed è da considerarsi la mostra più completa realizzata finora sul lavoro dell’artista.
Nei dipinti e nelle animazioni l’artista ci conduce nel suo mondo, pregno di riferimenti personali ed autobiografici, ma che in fondo è il mondo di tutti, in primis dello spettatore che si immerge e rimane catapultato nelle metamorfosi visive da cui emergono energie primordiali tra vita e morte, mutamenti, desiderio, lussuria e sessualità.
La sua espressione pittorica si fa forte e delicata allo stesso tempo, forme e colori prendono possesso dell’artista e del supporto realizzando ciò che si nasconde oltre la visione svelando il sommerso che sta dietro la pittura fatta di delicatezze e di stratificazioni perturbanti.
Esseri antropomorfi che si innestano in forme naturali, amebiche, fantastiche e snodate trasformazioni naturali di mondi surreali realizzati con precisione calligrafica emergono nei dipinti ad acrilico su tela e negli acquerelli che portano ad un’immersione chi guarda catapultandolo in mondi onirici, ma, in fondo, più che reali. Uomini, donne ed ermafroditi si ricoprono di maschere e pelli nuove tra mistero e indagine evocativa che attrae e tuffa gli occhi dello spettatore in mondi rilevati, mai nascosti, sempre presenti.
Il titolo scelto per la mostra, Love Dart, è ispirato direttamente “ai dardi acuminati, calcarei o chitinosi, che hanno alcune lumache, in particolare quelle terrestri ermafrodite, che vengono scagliati vicendevolmente durante la fase di accoppiamento (,..) uno strumento atto a favorire il processo riproduttivo.” Il “dardo d’amore, una freccia scagliata da Cupido/Eros,” che lega in questo modo l’amore e la copulazione, il dardo come potente e misterioso strumenti che attrae gli altri a sé. È innegabile che le opere di Wang siano ipnotiche, misteriose, evocative e allo stesso tempo legate da una potente attrazione, un desiderio che affascina tra paura ed eccitazione. Gli occhi di chi guarda annegano nella maestria dell’artista e rimangono impresse visioni che scavano dentro l’anima, si è avvolti ormai e catturati dalla bellezza che evoca ogni suo tratto, ogni suo sentire.
Nei video il mistero e il fascino di una magia seduttiva si ripete: storie surreali, evocazioni di sesso, di vita e di morte si susseguono ed è impossibile staccarsi dalla proiezione video quasi caduti e imprigionati tra le trame che raccontano percorsi e viaggi popolati da esseri umani, animali e paesaggi incontrollati e animati, un’altra freccia, anzi, un altro dardo che colpisce.
Il primo dei progetti speciali che si incontra nella Project Room 1 è Dipinti di Alessandro Teoldi (1987).
Tele ad olio e gouaches su carta diventano lo strumento per lasciarsi ispirare dalla realtà con un mezzo nuovo, la pittura, Teoldi che ha studiato fotografia a Milano e a New York, usa la tecnica pittorica per soffermare lo sguardo in piccoli spazi di silenzio, poesie visive che rappresentano persone, volti conosciuti, paesaggi, nature morte e scene di vita quotidiana in una sorta di diario visivo personale dalle dimensioni ridotte per accentuare l’intimità che si crea tra l’artista, il soggetto e chi le guarda.
“Teoldi crea così una piccola enciclopedia del quotidiano che la sua tavolozza traduce in immagini.”
L’ispirazione del silenzio deriva dalla pittura di Giorgio Morandi con uno studio meditativo e a tratti analitico degli elementi che sono qui rappresentati tra giochi di piani e tagli fotografici degli elementi e anche quando rappresenta le figure umane vengono mantenute immobili, solitarie e isolate da cui emerge una carezza, una velata malinconia. La forza che emerge nella pittura come cartolina della memoria che rimanda alla pittura italiana del primo Novecento svelabile nelle possenti figure di Mario Sironi, ma senza scordare la delicatezza di una mano sapiente che filtra l’occhio di chi ha imparato a guardare in modo poetico e attento più che vedere le cose restituendo allo spettatore sensazioni, attese, silenzi.
Nella Project Room 2 Beats il progetto speciale dell’artista multimediale cinese Feng Chen (1986): The Darker Side of Light, un’installazione luminosa e sonora abbinata al video Untitled (2015) creato site-specific. La stimolazione dell’opera avviene attraverso i sensi, l’udito e la vista: luci ipnotiche, movimenti alternati, suono. Una sorta di “architettura aliena” che crea una nuova realtà sensoriale dove le cortine installate si muovono ritmicamente in maniera sincrona al video, alle luci (la visione) e al rumore (il suono). Pulsioni che arrivano come un battito cardiaco che si propaga in maniera immersiva nello spazio che circonda lo spettatore al quale è solo richiesto di attivare i sensi e di partecipare con la sua presenza nell’estensione data dai sensi anche quando l’esperienza si fa disorientante e immateriale lasciando che il tempo scorra, fluisca tra suoni, visioni in un contesto dove si sovvertono le regole fisiche per lasciare l’estensione alle sensazioni.
Il piccolo spazio dove si snoda l’installazione/performance permette a chi partecipa di affinare l’esperienza dei suoni e delle visioni e di stimolare in questo modo il proprio corpo, la propria anima che riceve lo stimolo in una piccola stanza dove ritrovare le sensazioni più vicine al proprio io, al proprio sentire.
Le mostre mettono in comunicazione un insieme di emozioni e di culture che si aprono al mondo portando con sé lo scorrere del tempo, delle esperienze personali che si fanno globali e arrivano allo spettatore con delicata armonia e lasciano il tempo di assorbire e trasmettere in silenzi sussurrati ciò che il mezzo visivo, uditivo, esperienziale arriva a tramandare a chi li vive.
La fortuna di essere accompagnati dalla pazienza e dalle parole della curatrice Manuela Lietti tra le sale della galleria che, con passione e dedito amore alla professione, si è spesa nel racconto degli artisti e della loro poetica ha reso il viaggio tra Cina e Italia un’esperienza globale che arriva ad intersecarsi tra le impressioni più diverse e supera le distanze chilometriche per scoprire che, in fondo, le duali emozioni non hanno confine, non hanno spazio, non hanno sesso, ma solo vista, udito, cuore.
Il lento scorrere del canale veneziano sul quale affaccia la Fondazione Marchesani riporta alla mente un proverbio cinese dedicato all’acqua. “il grande corso d’acqua si volge a dritta e a manca e migliaia di cose debbono la loro vita a esso, ed esso non la nega a loro; quando il suo lavoro è compiuto non ne prende possesso, egli veste e nutre migliaia di cose e non le reclama come fossero sue. Si considera davvero grande perché non vanta diritti sulle cose, perché non pretende di essere grande, perché la sua grandezza l’ha già raggiunta.”
Come l’acqua che defluisce nel canale di fronte l’ingresso dellla Fondazione e agli spazi della galleria, così scorre il lavoro compiuto da Capsule Venice, con il suo incedere fatto di nutrimento, ricerca, sensibilità e non pretende la grandezza, ma riesce a dare e regalare percorsi artistici da chi “la grandezza l’ha raggiunta”.